Missione in Niger, memorandum per Graziano e per la Bella addormentata
Andare in Niger sotto comando dei francesi solo per una passerella istituzionale rischia di mettere a rischio la vita e la sicurezza dei nostri militari. Ridotto all’osso il memorandum, in realtà in sedici punti, pubblicato su difesa on line (leggi qui) e scritto dall’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, già a capo di stato maggiore della Marina Militare dal 2013 al 2016, si potrebbe riassumere così.
Ma a leggerlo bene, tale memorandum, può definirsi come un vero e proprio “warning”, se non una “cazziata preventiva”, tanto al ministro della difesa Roberta Pinotti, cioè la “bella addormentata nel bosco”, quanto al generalissimo Claudio Graziano-Badoglio. Che sta ricevendo schiaffi istituzionali e sassate giornalistiche quasi a raffica.
Cosa che per un capo di stato maggiore della difesa non è esattamente il massimo della vita.
Ma quali sono esattamente i rilievi evidenziati dall’ammiraglio De Giorgi? Il primo è che “per l’interesse nazionale e per il ruolo italiano in Libia, sarebbe stato meglio inviare il nostro contingente nel Fezzan, coerentemente con le iniziative già prese dal ministro Minniti con gli “stakeholder” in quell’area”.
Poi la sottolineatura che “non abbiamo la forza politica, prima di tutto, di sostenere un eventuale disaccordo con Haftar, benché la sua forza sia più teorica che concreta. In tal senso è stata emblematica la nostra acquiescenza alle minacce di Haftar di attaccare le navi italiane qualora fossero entrate nelle acque territoriali libiche in accoglimento alle richieste del governo legittimo libico”.
Il terzo e il quarto punto fanno riferimento al fatto che oggi come oggi ci tocca stare sotto la Francia visto che l’America non dimostra di avere più particolari interessi nel Nord Africa, tanto meno nel campo del contrasto al traffico di esseri umani. E stare sotto la Francia per noi non sarà facile né indolore in quanto loro difendono l’uranio e l’oro in Niger mentre noi dobbiamo addestrare i soldati sotto l’occhiuta sorveglianza francese.
Il quinto punto riguarda la delicatezza e i costi: dovere fare 2400 chilometri dai porti del Benin passando nel deserto nigeriano per arrivare al posto di dislocamento dei nostri uomini e dei mezzi non sarà esattamente una passeggiata né un’impresa a costo zero.
Sempre sui costi, e questo è il sesto punto, l’intera missione potrebbe rivelarsi proibitiva per il contribuente italiano visto che 470 persone mandate in un simile luogo ai confini con tutto, e forse anche con le nostre possibilità, da rifornire quasi esclusivamente con ponti aerei, non sono esattamente una missione di routine.
I punti da sei a tredici riguardano le cosiddette regole d’ingaggio. Che sono il vero handicap di problematicità dell’esercito italiano rispetto agli altri.
Primo problema è farle chiare dal punto di vista legislativo in Parlamento e renderle digeribili agli strenui difensori della Costituzione più bella del mondo. Poi, secondo problema, è che queste regole siano credibili per i nostri interlocutori francesi.
Terzo problema è che sinora avevamo approvato regole che da una parte non allarmavano i nostri politicanti di Montecitorio e palazzo Madama e dall’altra avevamo la sicurezza di agire comunque sotto l’ombrello Usa. Cosa che non avverrà questa volta.
Quarto problema? Sarà difficile avere regole d’ingaggio (Rules of engagement) esclusivamente difensive.
Quinto problema , la missione come potrà affrontare jihadisti e trafficanti di uomini se il dito sul grilletto sarà per forza di cose rattrappito?
Per il sesto problema vale la pena di riportare para para la sarcastica notazione di De Giorgi: “Non potrebbero attaccarli d’iniziativa (non essendo in autodifesa), né arrestarli, non avendo giurisdizione in Niger, né consegnarli a nazioni che hanno la pena di morte…quindi? Ci rimane il ruolo di istruttori e di mentori per le forze locali. Un compito certamente da non sottovalutare e che svolgeremo benissimo, ma di livello inferiore rispetto al contrasto attivo delle minacce presenti in quella parte dell’Africa.”
Il settimo problema paventa “soluzioni all’italiana”, cioè la clausola di impunibilità per operazioni militari svolte sul campo. E l’ottavo problema, infine, ricorda che ci si andrebbe comunque a scontrare con la magistratura italiana, visto che in questo tipo di missioni – pochi lo sanno – ogni singolo colpo sparato da un soldato italiano viene repertato dai carabinieri e prontamente trasmesso rapporto all’autorità giudiziaria in madre patria.
Il punto 14 riguarda la legge penale e civile del Niger. Cosa succederebbe se ci trovassimo come forza militare in contrasto con essa? Non essendoci l’ombrello Onu ogni possibilità è aperta. E si tratta sempre di possibilità inquietanti.
Come, vedi punto 15 dei rilievi di De Giorgi a Graziano-Badoglio e alla ministra “addormentata nel bosco”, quella di provocare un nuovo caso Marò.
Ricorda infatti l’ex capo di stato maggiore della marina militare che “se la polizia del Niger tentasse di arrestare un francese, sappiamo come andrebbe a finire. Purtroppo lo sappiamo anche nel caso venisse arrestato un italiano… Si tratta quindi di un aspetto da non sottovalutare.”
Il sedicesimo ed ultimo punto critico sarà quello di dovere avere la forzata consapevolezza di stare agendo per la maggior gloria francese e sotto diretto comando transalpino. Cosa per noi innaturale.
E quindi di mettersi in testa di anteporre la sicurezza dei nostri soldati alle esigenze d’immagine di una ministra e di un capo di stato maggiore che già tanti danni a quell’immagine italiana all’estero hanno arrecato.