
Perché noi no? L’Ilva resta in ginocchio mentre Londra pensa in grande
Dunque, accade in Inghilterra una cosa che da noi pare ancora fantascienza: il governo di Sua Maestà, in un sussulto di dignità, prende in considerazione l’idea di nazionalizzare British Steel, cioè la loro Ilva, usando niente meno che le leggi antiterrorismo. Ripetiamo: antiterrorismo. La produzione d’acciaio, per i britannici, è una questione di sicurezza nazionale, al pari di una guerra o di un attentato islamico.
Da noi invece? Da noi ci si gira dall’altra parte mentre a Taranto l’acciaieria rischia di finire in mano alla compagine azera che non solo non ha le competenze per gestire un altoforno ma chiede anche allo Stato finanziamenti per circa 4 miliardi di euro. Roba da far rimpiangere non solo l’offerta degli indiani di Jindal ma anche quella degli americani di Bedrock.
A Londra si sono accorti – guarda un po’ – che senza acciaio non si costruisce un bel nulla. Né ferrovie, né ponti, né difesa, né futuro. Non sono esattamente dei marxisti rivoluzionari, lì a Whitehall, eppure si rendono conto che perdere gli altiforni significa inginocchiarsi di fronte al mondo. E allora valutano l’uso del Civil Contingencies Act, una norma del 2004 che dà al governo i pieni poteri in caso di emergenza nazionale. Altro che circolari ministeriali o commissioni parlamentari: lì si agisce.
E in Italia? Ah, in Italia ci si chiede ancora se l’acciaio “conviene” e se l’Ilva è “compatibile” con l’ambiente, come se si potesse produrre acciaio biologico, magari senza emettere un grammo di CO₂. È la solita favola: prima si lascia un’industria marcire, poi ci si lamenta quando la chiudono. E i lavoratori? Pazienza. I figli? Si arrangino. Ma chi ha deciso che Taranto debba morire mentre a Scunthorpe si combatte per tenere in piedi gli altiforni?
Oltremanica i sindacati fanno il loro mestiere: gridano, pretendono, minacciano. Da noi troppo spesso si limitano a fare comunicati stampa. Il governo inglese non si inginocchia davanti alla Cina: se Jingye – colosso cinese proprietario della British Steel – decide di mollare, lo Stato si prende tutto e buonanotte. In Italia, invece, stiamo ancora a domandarci se non sia “troppo invasivo” che lo Stato intervenga. Ma invasivo per chi? Per chi ha lasciato un patrimonio industriale allo sbando per decenni?
Ora, non diciamo che dobbiamo copiare tutto dagli inglesi. Ma almeno una domanda seria ce la potremmo fare: perché loro possono nazionalizzare con fermezza e lucidità, mentre noi ci perdiamo in litigi sterili e titubanze croniche? Perché loro si battono per 2.700 posti a rischio, e noi lasciamo che intere città diventino deserti industriali?
In fondo la risposta è semplice. Perché loro hanno capito che senza acciaio non c’è sicurezza economica e quindi non ci può essere futuro per il Paese. Noi invece siamo ancora convinti che bastino i bonus edilizi e i tavoli al MIMIT per salvare un Paese.