Rai, se non sei della “casta” non puoi rappresentare i lavoratori nel Cda
Il Consiglio di Amministrazione della Rai sta per essere rinnovato e alla luce del Dlgs177/2005 modificato dal governo Renzi con la legge 220/2015 è prevista, per la prima volta nell’azienda radiotelevisiva di Stato, la presenza di un rappresentante del personale dipendente.
La scelta del rappresentante del personale nel CdA Rai avverrà tramite elezione diretta dei dipendenti che saranno chiamati a scegliere un loro collega che, però, dovrà avere i requisiti previsti dal comma 4 dell’articolo 49 del Dlgs 177/2005.
Il lettore ignaro sarà ovviamente compiaciuto del fatto che lo Stato riconosca anche a dei semplici dipendenti la possibilità di dire la loro all’interno di un Organo come il CdA della tanto chiacchierata Rai. Letta così la notizia non appare strana anzi dovremmo ringraziare il legislatore che ha saputo cogliere quella voglia di “partecipazione” prevista anche dalla nostra Carta Costituzionale all’articolo 46.
Purtroppo leggendo attentamente cosa prevede il famoso comma 4 dell’articolo 49 del Dlgs 177/2005 ci si rende conto che questa “concessione” ai lavoratori è del tutto fittizia perché il citato comma 4 dell’articolo 49 prevede che “Possono essere nominati membri del consiglio di amministrazione i soggetti aventi i requisiti per la nomina a giudice costituzionale ai sensi dell’articolo 135, secondo comma, della Costituzione o, comunque, persone di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali.” Insomma o sei un dipendente con un curriculum da sballo che, in alternativa al CdA della Rai, ti elegge giudice costituzionale oppure se sei un semplice dipendente, anche se laureato e magari che svolge attività a difesa degli interessi dei lavoratori nell’azienda pubblica televisiva di Stato, puoi dimenticarti di essere eletto nell’Organo di indirizzo della Rai. Ora a metà degli anni ’60 un famoso complesso musicale, I Giganti, incisero un disco dal titolo Io e il Presidente con un pezzo del testo che recitava “Oggi io non sono nessuno, domani sono presidente della Repubblica”.
Era il 1966 e quella canzone fu censurata perché secondo “la casta” dell’epoca offendeva la dignità della figura del Presidente della Repubblica anche se la Costituzione non dice che titolo di studio debbano avere i politici e i rappresentanti delle Istituzioni italiane.
Oggi, evidentemente, a distanza di cinquantadue anni quella casta ancora sopravvive, se non nelle persone fisiche, nelle sue logiche, al punto da prevedere che possano candidarsi a rappresentare il personale della Rai solo quei pochi alti dirigenti che vanno e vengono a seconda del colore del governo imperante.
Sempre negli anni ’60 una delle più importanti aziende pubbliche, l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, fu una delle prime che permise a tre rappresentanti del personale di poter sedere nel consiglio di amministrazione con la sola differenza che fra questi tre vi era anche un operaio che, ovviamente, doveva avere dimestichezza con le questioni sindacali relative al personale ma al quale non si richiedevano i titoli che debbono possedere i giudici costituzionali.
Ora sarebbe opportuno come ha giustamente chiesto un dipendente interno, Alessandro Lupi, scrivendo al Presidente della Camera dei Deputati, che sia chiarito che il requisito previsto relativo al “riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti, che si siano distinte in attività economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale, maturandovi significative esperienze manageriali” diviene requisito tendenziale ed essenziale per le candidature di nomina politica ma non può essere considerato “requisito essenziale” per il rappresentante dei dipendenti.
Se così non fosse la rosa dei dipendenti che potrebbero partecipare alle elezioni sarebbe ristretta solo a quei dirigenti che possono vantare titoli del genere ed escluderebbe “il signor Rossi” che magari con laurea e master è costretto a fare il centralinista di Viale Mazzini. Vogliamo pensare che “il governo del cambiamento” che si sta formando rifletta su questo aspetto che, se non chiarito, rischia di diventare l’ennesima mossa gattopardesca della casta per fare in modo che “tutto cambi perché tutto rimanga come prima”. Trattandosi della Rai la cosa non ci meraviglierebbe.