RAI, il vicolo cieco della Schlein per il nuovo CdA e quell’inquietante silenzio USIGRAI sui soldi spariti
A leggere i giornali sembra che le difficoltà per il nuovo CdA della RAI siano tutte all’interno del governo e del centrodestra. Tutto secondo la linea editoriale che viene seguita da due anni a questa parte: FdI, Forza Italia e Lega vogliono continuare ad occupare le poltrone di viale Mazzini e ad irrobustire l’impianto di TeleMeloni.
Nessuno che si degni di ricordare che è tutt’ora in carica il CdA nominato secondo la riforma Renzi e che si impadronì del vertice (presidente non certo di garanzia e AD), escludendo dal consiglio l’unico partito allora all’opposizione, cioè FdI.
Ora il Pd, che grazie a quel presidente (Soldi), a quell’AD (Fuortes) e ad una consigliera (Bria) aveva occupato tutto ciò che c’era da occupare, grida allo scandalo se si dovesse rinnovare il CdA secondo le norme in vigore volute proprio dai post(?)-comunisti. Perché -secondo loro- l’Europa ha chiesto di modificarle e quindi è molto meglio andare avanti con questo consiglio fino alla nuova riforma.
Ma certo, come no. E siccome il centrodestra non ci pensa proprio a rinunciare al rinnovo, il Pd chiama a raccolta le sinistre e i “cespugli” renziani e calendiani per bloccare il presunto “golpe”.
Facendo diffondere anche fake news come quella secondo la quale FI, per bocca di Antonio Tajani, avrebbe già comunicato a Simona Agnes che non potrà essere designata presidente dal MEF insieme al futuro AD Giampaolo Rossi.
Una balla assoluta. Ma il centrodestra è deciso ad andare avanti e se la Agnes non dovesse ottenere subito il “gradimento” dei 2/3 della Vigilanza, attenderà tempi migliori per la sua nomina effettiva.
D’altra parte, in questo senso, c’è già il precedente di Marcello Foa, bocciato una prima volta e promosso successivamente.
La Schlein con le sue smanie di Aventino, si è insomma infilata in un vicolo cieco. E in queste condizioni può soltanto sperare di riuscire a piazzare in CdA un consigliere abbastanza anziano d’età per battere la concorrenza del leghista Antonio Marano. senza poter neppure puntare su Antonio Di Bella, più giovane (di un mese) di dell’vice-DG. E comunque finendo per accettare il concetto “lottizzatorio” che aveva giurato di voler seguire.
Non male come strategia. Ma in casa Pd, c’è anche un’altra “grana” da non sottovalutare. “il Fatto quotidiano” -non smentito- ha dato notizia che l’impiegato responsabile dell’ammanco di 156mila euro ai danni dell’Usigrai, ha fatto causa all’ex- sindacato unico (ora c’è anche Unirai) dei giornalisti di viale Mazzini. Vuole che gli venga riconosciuto il rapporto di lavoro dipendente e quindi arretrati e liquidazione.
Ma come, questo integerrimo collaboratore non era inquadrato regolarmente da un sindacato specchiato come l’Usigrai? Come veniva pagato?
Potrebbero i vecchi e i nuovi vertici uscire allo scoperto e spiegare l’arcano, invece di continuare a far finta di niente? E rivelare pure chi è l’altro misterioso “indagato” (è sempre così quando gli indagati sono di sinistra, nomi e cognomi saltano subito fuori solo se sono di destra)?
Tace anche la FNSI. Forse perché l’attuale presidente, Vittorio Di Trapani (ma tu guarda a volte la combinazione) era proprio alla guida dell’USIGRAI quando si sono verificate le ruberie delle quote degli iscritti?
Ecco, invece di dedicarsi ai dossier da spedire in Europa per denunciare la mancanza di libertà di stampa e di critica in Italia, potrebbe contribuire a fare chiarezza su tutti i retroscena dello scandalo?
In tanti, dentro e fuori la Rai, gliene sarebbero grati.