C’è una clamorosa sentenza della Corte d’Appello di Roma che potrebbe segnare una svolta per il dissesto dell’INPGI, l’istituto di previdenza dei giornalisti i cui bilanci sono in profondo rosso. Certo, è ancora una sentenza di merito, ma se la Cassazione non dovesse sollevare rilievi, per la Rai si aprirebbe un baratro di proporzioni difficilmente quantificabili; perchè, appunto, potrebbe rappresentare una decisiva ciambella di salvataggio per l’istituto. I giudici di secondo grado, infatti, hanno stabilito che lo “sfruttamento” dal 2010 da parte della Rai di decine e decine di giornalisti utilizzati con contratti precari o addirittura con partita IVA, ma in realtà sottoposti a veri e propri rapporti di lavoro subordinato, devono essere adeguatamente risarciti. Così come dovranno essere inevitabilmente pagati i relativi contributi previdenziali.
Il merito di questa rivoluzionaria pronuncia della Corte d’Appello di Roma, è dell’avvocato Enzo Iacovino, un legale che da anni si batte contro le sopraffazioni contrattuali della Rai, portando a casa successi spesso clamorosi. Questa volta, Iacovino ha assistito una giornalista retribuita a partita IVA malgrado fosse utilizzata come una vera e propria risorsa a tempo indeterminato, vincoli di subordinazione, turni e orari di lavoro e utilizzo dei mezzi aziendali. Tanto è vero che era stata poi assunta nell’ambito delle regolarizzazioni decise dall’azienda per sanare le centinaia di situazioni irregolari. Senza però sottoscrivere la rinuncia a pretendere quegli indennizzi per il passato che invece molti hanno accettato pur di vedersi riconoscere i loro diritti. “Carta straccia”, secondo Iacovino. E ora, visto che quei diritti non sono stati difesi adeguatamente dall’USIGRAI (pseudo sindacato dei giornalisti di viale Mazzini), dovrebbero essere impugnati almeno dall’INPGI, con conseguente recupero dei contributi previdenziali di anni e anni di elusione da parte della Rai.