
SACE: la fine dell’era Ricci (che le prova tutte per resistere), tra slogan, flop e macerie
In SACE il cambio di stagione è ormai scritto. Il licenziamento di Gianfranco Chimirri, discusso capo del personale voluto dall’ex amministratrice delegata Alessandra Ricci, non è un semplice avvicendamento: è il simbolo della rottamazione di un modello, nonostante numeri record annunciati urbi et orbi, considerato fallimentare da Palazzo Chigi, dal MEF, dal mercato e dagli stessi dipendenti della società controllata dal Tesoro.
La parabola di Chimirri — poco meno di due anni di mail motivazionali, slogan roboanti, interviste infarcite di citazioni e anglicismi, iniziative patinate egoriferite — si è chiusa tra gli applausi di un’azienda stanca di sopportare.
A pagare il conto, prima di tutto, le persone di SACE: dirigenti epurati perché critici verso una gestione sconsiderata, buonuscite e contenziosi per circa 12 milioni, professionisti in fuga pur di sottrarsi a un clima giudicato tossico. Tutto questo con un budget HR monstre da 10 milioni per una realtà di appena 700 dipendenti.
Non è bastato. I sindacati sono arrivati allo scontro frontale: due scioperi e uno stato di agitazione permanente, eventi mai visti prima in SACE, ed un atteggiamento dell’azienda in totale sprezzo delle relazioni sindacali.
A corredo, episodi diventati barzellette interne: la sede “ufficiale” di Chimirri a Firenze, mentre in realtà operava da Roma; la settimana corta e lo smart working venduti a colpi di partnership editoriali e comunicazione scintillante, ma disattesi nella pratica con input ai dipendenti divergenti rispetto agli annunci.
Il bilancio è stato devastante: azienda spaccata, morale interno ai minimi storici, reputazione incrinata. Da qui la decisione del governo di voltare pagina, nominando Michele Pignotti amministratore delegato e DG e Guglielmo Picchi presidente. Una discontinuità netta che chiude definitivamente la parentesi Ricci.
Ed è proprio Alessandra Ricci, architetta di quella stagione, a trovarsi oggi con un’eredità pesantissima. Dopo aver goduto delle simpatie del centrosinistra e aver poi virato sotto l’ala di Antonio Tajani, la sua esperienza è ricordata come un disastro: più parole che fatti, più visibilità che risultati. Tra i lasciti, azioni legali contro giornali, contenziosi, e una gara da 1,2 milioni di euro per la comunicazione bandita a luglio, nonostante il suo mandato fosse già scaduto a dicembre 2024, subito annullata col nuovo corso targato MEF e Palazzo Chigi nell’era Meloni.
Un marchio che sarà difficile da scrollarsi di dosso per la Ricci, soprattutto in un contesto in cui la reputazione pesa più dei numeri. E a proposito di numeri, resta un mistero il bilancio 2024: mentre comunicati e interviste rilanciavano cifre iperboliche, sul sito istituzionale del gruppo il documento ufficiale non compare nonostante sia stato approvato dal Cda precedente prima dell’estate.
Il nuovo corso ha un lessico diverso: sostanza. Meno chiacchiere, meno retorica, più concretezza e rigore. È questo il messaggio che Pignotti e Picchi hanno trasmesso nella plenaria con i dipendenti a Piazza Poli, alla presenza (in remoto) della stessa Ricci, collegata in modo definito da molti come “stalkeristico”. Poco hanno potuto sorrisini, ammiccamenti e tentativi di protezione esterna dei fedelissimi dell’era passata: da Valerio Ranciaro a Valerio Perinelli, da Michal Ron a Rodolfo Mancini. E il fragore degli applausi dei dipendenti SACE alle parole di Guglielmo Picchi e Michele Pignotti è stato il segnale più evidente del gradimento sul cambio di passo.
La lezione, per tutti, è chiara: quando lo storytelling prende il sopravvento sulla realtà, il prezzo lo pagano i lavoratori. E, alla fine, anche chi lo ha costruito senza sostanza.