
Sanzioni contro Mosca: l’Occidente combatte con la fionda, Putin con il Kalashnikov
Tre anni di guerra, migliaia di sanzioni, miliardi di dollari bruciati in compliance, assicurazioni e controlli. Risultato? Il petrolio e il gas russi continuano a scorrere come se nulla fosse, riempiendo le casse del Cremlino e alimentando le economie di Cina e India.
Quello che doveva essere l’asso nella manica di Washington e Bruxelles per piegare Mosca si sta rivelando una pistola scarica. Non solo le sanzioni non hanno fermato la macchina bellica russa, ma hanno pure creato un mostro: una rete parallela di commercio globale fatta di petroliere “fantasma”, società di comodo e banche ombra, che aggira le regole occidentali e sfida apertamente il G7.
L’inflazione delle sanzioni
Dal 2017 ad oggi le misure restrittive sono esplose del 450%. Bruxelles è passata da zero a 2.534 sanzioni contro Mosca, mentre gli Stati Uniti solo nel 2024 hanno aggiunto oltre 3.000 nomi alla loro black list. Un crescendo che ha trasformato la politica estera in un gigantesco gioco del gatto col topo.
Il problema è che il topo non solo è scappato, ma ha pure messo su famiglia. Pechino e Nuova Delhi, che insieme assorbono l’80% del greggio russo, hanno creato una rete commerciale che funziona benissimo anche senza dollari, banche occidentali o assicurazioni di Londra. E ora, persino i transponder delle petroliere restano spenti: chi vuole fermarle, deve prima riuscire a trovarle.
Il price cap: il tetto che fa acqua
Nel dicembre 2022 il G7 ha partorito l’idea del price cap: limite a 60 dollari per il greggio russo, con divieto per le compagnie occidentali di fornire servizi a chi compra sopra quella soglia. Un cap teorico che nella pratica non ha mai funzionato: l’Urals è rimasto sopra i 60 dollari per tre quarti del tempo, mentre ad agosto lo sconto rispetto al Brent è sceso sotto i 5 dollari, il minimo dall’inizio della guerra.
Bruxelles adesso vuole abbassare il tetto a 46,50 dollari, mentre gli USA si sfilano. Il classico gesto disperato: la toppa che rischia di essere peggiore del buco.
Putin brinda, l’Occidente paga
Secondo i calcoli di Londra, Mosca avrebbe perso 154 miliardi di dollari di entrate fiscali in tre anni di guerra. Ma questo numero non dice tutta la verità: il Cremlino ha compensato gran parte di quelle perdite vendendo a prezzi più alti agli asiatici. Tradotto: l’Occidente paga energia più cara, l’economia russa si adatta e Putin continua a finanziare la guerra.
Il colpo di Trump e la risposta indiana
Come se non bastasse, a fine agosto Donald Trump ha introdotto una tariffa secondaria del 25% sull’India per punire gli acquisti di petrolio russo. Una mossa da “America First” che però ha prodotto l’effetto opposto: Nuova Delhi non ha smesso di comprare da Mosca e, anzi, ha ricominciato a flirtare con Pechino, rafforzando il blocco anti-occidentale.
Sanzioni boomerang
Le sanzioni funzionano solo se tutti giocano la stessa partita e per un tempo limitato. Qui invece l’Occidente ha deciso di correre la maratona con un solo piede. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la Russia ha costruito un sistema parallelo mentre Washington e Bruxelles annaspano dietro navi fantasma e banche sconosciute.
Più misure si aggiungono, meno efficaci diventano. E alla fine, la grande arma finanziaria rischia di trasformarsi in un clamoroso boomerang economico, con l’Occidente che si ritrova a pagare il conto di una guerra che non riesce né a vincere né a fermare.