Università Telematiche: il decreto “segreto” della Bernini (gradito alla Lega) fa infuriare i rettori
Un tempo eravamo il Paese dello studio, della cultura, della ricerca. L’Italia era in grado di sfornare cervelli, che poi purtroppo migrano per un posto di lavoro, ma a un certo punto rientrano riconsegnando alla nazione il frutto di un percorso ampio e anche internazionale. Al centro di questo processo virtuoso c’è sempre stata l’Università. Il luogo dove i sapienti danno strumenti alle nuove generazioni per mantenere e aumentare il patrimonio di conoscenza, di qualità intellettuale, ma anche operativo, che è il vero tesoro che abbiamo il dovere di custodire e tramandare. L’Università va difesa nella sua forma millenaria, non a caso possiamo vantare di avere a Bologna il più antico ateneo al mondo.
Negli ultimi anni questo modello è sotto attacco. Le università telematiche hanno fatto breccia nel mercato della formazione e hanno messo in grave crisi finanziaria le più classiche realtà universitarie. Senza soffermarsi sul divario qualitativo dell’offerta, va sottolineato che esiste tra i due modelli una concorrenza sleale. Gli atenei classici sono obbligati a un numero preciso di professori ogni tot studenti e hanno costi di struttura e organizzazione per mantenere il rapporto fisico – che in molti casi è essenziale – con i ragazzi. Le università telematiche, invece, hanno da sempre avuto una esenzione a questi obblighi.
Qualche anno fa, allora, il Ministero dell’Università ha emesso una norma che obbligava le telematiche ad allinearsi agli standard di tutti gli atenei. Ma la loro lobby è ben organizzata e potente: può contare su milioni di euro versati ai partiti, sulla possibilità di coinvolgere politici e amici dei politici nell’insegnamento universitario e poi ha molti parlamentari laureati proprio grazie ai corsi digitali. Così per diversi lustri l’allineamento è stato rinviato, ogni anno una scusa diversa.
Stavolta, nell’ultimo decreto milleproroghe, le pressioni non hanno dato il risultato sperato: il Ministro dell’Università, Anna Maria Bernini, ha respinto le richieste di prorogare di un anno l’entrata in vigore delle norme. Un atto di forza e di coraggio, una resistenza alle pressioni fortissime di pezzi di politica, anche di maggioranza (e soprattutto della Lega) e anche di alcuni colleghi di governo. Risultato: a settembre le università digitali si dovrebbero adeguare.
Ma proprio quando si pensava che le telematiche potessero rientrare nelle regole, è ripartito l’assalto della lobby. E sembra che la Bernini stia per cedere. A quanto pare, infatti, c’è una idea che circola nei corridoi del ministero: un decreto urgente che sposta di un anno l’entrata in vigore dell’adeguamento degli standard qualitativi e, addirittura, con criteri più favorevoli alle telematiche. La bozza del decreto ministeriale circola tra pochissimi dirigenti, passa di mano in mano senza che se ne parli troppo. Se verrà firmato dalla Bernini sarà un blitz. La ministra rischia così di essere iscritta nell’elenco di quelli che fanno l’ennesimo favore agli atenei digitali, con buona pace dei rettori della CRUI che hanno già protestato abbastanza, ma per ora invano.
Insomma, la Bernini si renderà complice? Secondo gli ultimi dati, le università tradizionali contano in media un professore ogni 28 studenti; quelle telematiche uno ogni 385. Dopo la promessa dei tagli ai finanziamenti universitari per circa 500 milioni di euro, se il testo pro-telematiche finirà in Gazzetta sarà il punto definitivo di rottura tra il ministero e i suoi rettori.
A ciò va infine aggiunto che la ministra in quota Forza Italia farebbe un bel regalo al partito di Salvini, vero sostenitore degli atenei digitali. Un fatto che striderebbe con la linea politica suggerita dalla famiglia Berlusconi di non piegarsi troppo alle richieste della Lega.